Comunione nel tempo e oltre il tempo

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Nella rilettura del Vaticano II, soprattutto a partire dal 1985, si è privilegiata la categoria di “comunione” per descrivere la Chiesa. Prescindendo della correttezza di questa ermeneutica dell’ecclesiologia conciliare, resta innegabile che “comunione” è categoria plausibile per indicare la realtà della Chiesa. Con essa, infatti, si indica l’esito dell’azione salvifica di Gesù, come presentata soprattutto nelle lettere deuteropaoline e nella letteratura giovannea. Testo emblematico è 1Gv. 1,1-3 nel quale, oltre a delineare lo scopo dell’annuncio del Vangelo, la dilatazione della comunione, si rimanda anche alla dimensione verticale e quindi fondativa di questa. Appunto la dimensione verticale permette di pensare la comunione coincidente con l’azione salvifica di Dio in Cristo e mediante lo Spirito, includente quindi tutti i giusti, grazie alla partecipazione ai sancta, secondo una possibile interpretazione del dettato del Simbolo di fede cosiddetto apostolico. La Chiesa storica, come si legge in LG 1, si configura pertanto come “segno e strumento della comunione degli uomini con Dio e degli uomini tra di loro”. In altri termini, come il luogo nel quale si fa esperienza di legami che solo Dio è in grado di creare.

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